La tensione si sentiva da tempo e in queste settimane è sfociata in quello che, non si deve aver paura di dire, potrebbe diventare il più grande sollevamento del mondo arabo di sempre, capace di cambiare il corso della storia in Nord Africa, con possibili ripercussioni sul Medio Oriente.
Infatti dopo la rivolta tunisina, che ha costretto alla fuga Ben Alì, è adesso l'ora dell'Egitto, il quale non è un paese qualsiasi nel panorama internazionale. E' lì bello incastonato fra l'Africa e il Medio Oriente, è un po' l'una e un po' l'altro, il che lo fa diventare un punto di riferimento sia per gli uni che per gli altri.
Cronaca- I disordini, iniziati ormai un paio di giorni or sono, sono diffusi in tutti i centri nevralgici del paese, anche se la sede principale, ovviamente, è la capitale, Il Cairo. Dapprima a contrastare i manifestanti c'era la polizia in assetto antisommossa, ma col passare delle ore il governo ha deciso di ritirarla per mettere in campo l'esercito.
Questa scelta può solo significare che la situazione sta per sfuggire di mano, cosa che puntualmente è avvenuta: il bilancio per ora è di circa 100 morti, di cui alcuni poliziotti e due bambini.
Nel frattempo il presidente Mubarak (al potere da ormai 30 anni) annuncia lo scioglimento del governo ma non le sue dimissioni. La piazza risponde che non basta, vogliono la testa del presidente, il palazzo del partito brucia dalla serata di ieri e gli scontri continuano.
Rivolte e social network- Tutto ciò che è avvenuto era da giorni annunciato nel mondo digitale, dove i giovani si sono messi in contatto e si sono dati appuntamento in piazza. Con i casi tunisino ed egiziano potrebbe aprirsi una nuova era come modello di "politica dal basso": i giovani prima seminano le loro idee in rete per poi vedere germogliare i frutti in piazza. Internet non solo è in grado di semplificarci la vita quotidiana, è pure un potentissimo catalizzatore di rivolte, in grado di convogliare il malumore di qualche singolo in malcontento generale.
In Cina se ne sono accorti per tempo e hanno da tempo limitato l'accesso a facebook e twitter, provvedimento che è stato preso tardivamente in Egitto e Tunisia.
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Hosni Mubarak |
Esercito- L'esercito, appena chiamato in causa, potrebbe giocare un ruolo chiave nella vicenda. Infatti l'esercito in Tunisia è stato la condanna di Ben Alì, in quanto anzichè fermare i manifestanti si è messo a parlare e alla fine si è unito a loro per combattere contro la polizia. Il problema è che Ben Alì era proprio un ex-poliziotto e quindi godeva dell'appoggio ormai solo delle forze dell'ordine. Mubarak invece è proprio un ex-comandante dell'esercito e l'ipotesi che goda ancora dell'appoggio dei commilitoni è più che fondata. Perciò l'esercito, che finora è sceso in strada in maniera piuttosto neutrale e acclamato dalla gente, non potrebbe essere la soluzione in favore dei manifestanti.
I personaggi- Hosni Mubarak governa indiscusso dal 1981 grazie ad un decreto di "stato d'emergenza" (decisamente lungo) con il beneplacito delle democrazie occidentali, Stati Uniti e Israele in primis, in quanto contrastatore del fanatismo musulmano contro Gerusalemme.
Nonostante ciò nuove carte di Wikileaks affermano che la protesta è in realtà orchestrata da Washington fin dal lontano 2008, al fine di un cambio di regime entro il 2011. Quindi niente democrazia all'orizzonte, o almeno così dice la grande multinazionale della libertà.
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Mohamed El Baradei |
Mohamed El Baradei, premio Nobel per la pace nel 2005 e capo dell'opposizione egiziana, che era da anni in esilio volontario a Vienna, ha deciso di rientrare in patria non appena saputo dei disordini. In passato è stato ambasciatore ONU per l'Egitto e capo dell'agenzia internazionale per l'energia atomica, e proprio questa sua posizione ha reso la sua candidatura a traghettare l'Egitto fuori dall'era Mubarak un'ipotesi credibile. El Baradei da un lato pare in grado di rassicurare le democrazie occidentali e dall'altro gode della grande fiducia di tutto il movimento musulmano moderato.
Timori e ideologie- La più grande paura di mezzo mondo è che il potere finisca in mano ad un personaggio simpatizzante dell'estremismo islamico, il che significherebbe un alleato non di poco conto per l'Iran e la riapertura del fronte egiziano nella guerra contro Israele. Il caos nel caos del Medio Oriente insomma. Perciò, nonostante i tanti proclami in favore di libertà e democrazia, l'Europa si augura che Mubarak riesca a superare il momento difficile e avviare delle riforme condivise nel paese. In poche parole il dittatore amico piace.
Nonostante ciò gli intellettuali egiziani tengono a rivendicare la tradizione parlamentare del loro stato, anche se da sempre l'ideologia è fortemente condizionata dalla legge islamica. Infatti è bene ricordare che l'Egitto è "dotato" di un parlamento da ben 4 anni prima dell'Italia.
Ieri era venerdì, giorno di preghiera islamico, ma non per questo si sono fermate le proteste. Ai cori contro Mubarak si sono alternati i cori per Allah.
Sotto a chi tocca- Archiviati gli scontri tunisini e osservando quelli egiziani, il mondo getta lo sguardo nel calderone africano per scoprire quale sarà il prossimo coperchio a saltare. In Algeria il capo del governo, sentiti i primi malumori, ha proceduto ad un rimpasto dell'esecutivo, ma non si sa se basterà. In molti sono invece pronti a scommettere che la prossima fiamma sarà lo Yemen: ieri nella capitale San'a contro il governo hanno sfilato 16mila persone in maniera pacifica, per ora.
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